Il fiore di Loto

Le guardo il viso ormai pallido, le tengo la mano e le accarezzo le dita, nella speranza che il mio affetto possa accompagnarla in un posto migliore. Poche settimane prima..Fisso una ad una le gocce che scorrono sul vetro, mi rilassa. Sono rannicchiato su un posto a sedere dell’autobus, con la testa appoggiata al finestrino. Sospiro profondamente e il vetro si appanna, così, inconsapevolmente, disegno una faccina, ma non sorridente.Ormai sono mesi che non provo più il desiderio di sorridere e, anche volendo, non riesco a far felice nemmeno una stupida faccina. Mio malgrado siamo arrivati davanti a scuola e l’autobus si ferma. Mi alzo dal sedile e faccio per scendere dal mezzo quando inciampo in qualcosa e mi ritrovo sul pavimento. Torno in piedi e composto. Sento le risate di altri ragazzi, così mi giro e come immaginavo il solito bullo mi ha fatto lo sgambetto, “sembra di essere all’asilo non al liceo” penso, ma non dico nulla e con le lacrime pronte a uscire come un fiume in piena esco dall’autobus e mi avvio in classe. Sono stanco, ogni giorno è la solita storia, non ce la faccio più, voglio farla finita. La mia mente viene avvolta da fasci di pensieri negativi e desideri assurdi, ma fortunatamente uno spiraglio di luce sembra farsi strada tra l’oscurità nella mia testa, è lei, mia mamma. So che vorrebbe che io vivessi al meglio la mia vita e che non ascoltassi le influenze “tossiche” di chi sa solo odiare e giudicare. Mi ripete spesso che la vita è una e molte volte siamo tanto concentrati a pensare al domani che ci scordiamo di vivere l’oggi, che è più importante, dopo tutto non abbiamo la certezza che quel domani arrivi. Mia madre ne è la prova vivente, ormai da qualche mese è in ospedale perché le è stato diagnosticato il cancro ai polmoni al quarto stadio. Anche lei prima di questa scoperta rimandava sempre ciò che avrebbe potuto fare il quel momento e ora che se ne è resa conto cerca di non farmi commettere lo stesso errore. Se non fosse per lei avrei già mollato tutto. Passo le ore di lezione a disegnare sul mio “quaderno scaccia pensieri” e già dal nome si può dedurre il suo scopo. Non avendo praticamente nessun amico mi dirigo direttamente in ospedale per la visita giornaliera a mia mamma. Sono sempre stato preso di mira, fin dalle elementari, io ero il bambino senza papà, il bambino che era stato abbandonato perché i suoi genitori non potevano sopportare una delusione così grande, il bambino adottato. Così ero dipinto dagli altri. Ora sono il ragazzo con la madre malata, che al giorno d’oggi trovo assurdo utilizzare come insulto, sono il ragazzo gay e pervertito, perché ovviamente omosessuale è sinonimo di depravato, sono il ragazzo strano e asociale, come se mi isolassi volontariamente e non per evitare di essere insultato e deriso da chiunque.Ormai ha smesso di piovere ed è uscito il sole. Decido di fare una sorpresa a mia mamma e di fermarmi per strada a comprarle un regalo, giusto per tirarle su un po’ il morale. Proprio un isolato prima dell’ospedale vedo un chiosco di fiori e decido di prendergliene uno. A passi lenti e con lo sguardo fisso a terra raggiungo il capanno e inizio ad ammirare ogni singola tipologia di pianta. Sono tutti magnifici. Non sapendo gran che sui fiori ed il loro significato mi guardo intorno per cercare di scorgere il venditore, o qualcuno a cui potrei chiedere un parere, ma non vedo nessuno. A quel punto mi affaccio per vedere al di là del bancone e d’un tratto appare un ragazzo, alto, molto alto, dagli occhi color smeraldo e dai capelli che paiono rami d’ulivo ardenti. Rimango ammaliato da cotanta bellezza tant’è che non odo parole uscire dalla mia bocca. Dopo qualche secondo vengo riportato al mondo reale e noto che il ragazzo mi sta domandando se abbia bisogno d’aiuto. “Si!” Rispondo prontamente. “Avrei bisogno di un fiore per mia madre, ma non saprei quale scegliere. Sta passando un brutto momento e vorrei farle sapere quanto io la ammiri per la forza che sta dimostrando”. “Certamente, ho ciò che fa al caso tuo!” mi dice, per poi aggiungere “Ci sono due fiori in particolare che vorrei mostrarti, il papavero e il fiore di loto. Il primo è un fiore umile e semplice, ma carico di poesia. Fiorisceovunque, anche in mezzo ai binari del treno o nei posti più impensabili: la sua anima è forte e umile allo stesso tempo, ed è simbolo di resistenza e consolazione. Ideale da regalare per portare un po’ di conforto in un momento poco sereno. Mentre il secondoil fiore di loto, è un fiore pieno di fascinoche simboleggia un profondo senso di ammirazione. Femminile e sensuale, suscita meraviglia e stupore per via della sua forma inconsueta e la sua estetica particolare. Risulta quindi ideale per esprimere ammirazione e un profondo senso di stima verso qualcuno”. “Hanno entrambi un significato che rappresenta a pieno ciò che vorrei trasmetterle, ma credo che il fiore di loto sia la scelta migliore”. Con ciò che ho nel portafoglio posso permettermi di portarle solamente un fiore, o altrimenti non potrò comprare la cena a mia nonna. Ringrazio il giovane, pago e mi incammino osservando il meraviglioso fiore che rigiro tra le dita. 

Con la mente ingombra di pensieri raggiungo l’ospedale. Entro nell’edificio, salgo le scale fino al reparto dove c’è la stanza 212 e nel mentre saluto l’infermiera che si prende cura di mia mamma, con un cenno della mano e un mezzo sorriso. Arrivo davanti alla porta della stanza e noto che c’è un signore con il camice che sta parlando con mia mamma e dalla sua espressione non mi aspetto nulla di buono. Appena l’uomo mi vede esce subito dalla stanza e se ne va a testa bassa senza rivolgermi parola. Raggiungo il letto. Appoggio il fiore sulle sue gambe e la guardo con aria perplessa. Lei non mi guarda in faccia, prende tra le mani il fiore e sospira. Lo sfiora, lo accarezza, ci gioca. Una lacrima le solca il viso, sta soffrendo e io non so cosa fare. “Dimmi cosa ti ha detto il medico” le dico, voglio spiegazioni. “Mi ha detto che..c-che…”, “Che cosa!”, “CHE MI RIMANE MENO DI UN MESE!” urla, per poi iniziare a singhiozzare. In quel momento mi crolla il mondo addosso. “Ha detto anche che se voglio posso tornare a casa per passare gli ultimi giorni con te e la nonna, gli ho già detto di sì”. Rimango fermo immobile, sto ancora elaborando. L’orario delle visite è giunto al termine perciò saluto la mamma e mi incammino. Sulla strada verso casa ho gli occhi, colmi di lacrime, fissi al pavimento, sono triste, arrabbiato, impaurito. Mentre cammino tiro qualche sassolino e, senza accorgermi, colpisco qualcuno. È girato di spalle pertanto non vedo la sua faccia, non so chi è. Mi avvicino con cautela, essendo già buio, fino a quando sono proprio dietro questa persona. Chiedo scusa per il sasso e quando sto per appoggiare la mano sulla sua spalla si gira. Riconosco gli occhi smeraldo. È il ragazzo del chiostro dei fiori. Mi chiede perché stia piangendo e inizialmente svio il discorso, ma era da tanto tempo che non parlavo apertamente con qualcuno, perciò svuoto il sacco e comincio a raccontare ciò che stava succedendo a mia mamma. Sembra un ragazzo espansivo, socievole, affabile e mi piace parlare con lui. Mi dice di chiamarsi Ethan, di avere appena compiuto diciannove anni e che lavora al chiosco con suo padre, l’unico parente che lo tratta come prima di aver fatto coming out. Passiamo un paio d’ore a passeggiare e chiacchierare di qualsiasi cosa, riesce a farmi sorridere dopo tanto tempo e ritrovo la voglia di vivere che mi aveva abbandonato da mesi. Il tempo sembra volare e infatti si fanno le quattro di mattina, vediamo un parco e Ethan inizia a correre verso le altalene facendomi cenno di raggiungerlo. Mi metto a correre e con agilità salto sulla giostra e sincronizzati iniziamo a dondolare avanti e indietro. Dopo un po’ di divertimento ci fermiamo, ci guardiamo negli occhi e piano piano mi avvicino. A questo punto cos’ho da perdere, nulla. Abbasso lo sguardo dalle sue pupille alle sue labbra e con veemenza gli afferro il volto e lo bacio. Percepisco esitazione ma dopo pochi secondi ricambia il gesto. Da quella sera iniziamo a frequentarci e uscire insieme, andiamo l’uno a casa dell’altro, pranziamo fuori e…beh, facciamo tutto ciò che fanno le altre coppie. Sembra andare tutto per il verso giusto quando ricevo una telefonata dall’ospedale. Continuo a ripetermi che mi stanno chiamando solo per ricordarmi che domani dovrò andare a prendere mia madre per portarla a casa, e che non è successo nulla di inaspettato, “Sì, sicuramente è così” mi calmo e tiro un sospiro di sollievo, rispondo al cellulare, ma non ricevo la notizia che avrei voluto sentire. Appena sento l’infermiera dire “Mi dispiace tanto” mi lascio cadere a terra, “Non è possibile!” ripeto, scoppio a piangere. Corro da Ethan che gentilmente mi porta in macchina all’ospedale. Non sono riuscito a dirle addio, mi manca già da morire. Entriamo nell’edificio e raggiungiamo la stanza dove si trova il suo corpo ormai senza vita, chiedo di avere un ultimo minuto da solo con lei. Le guardo il viso ormai pallido, le tengo la mano e le accarezzo le dita, nella speranza che il mio affetto possa accompagnarla in un posto migliore. La sera stessa dormo a casa di Ethan che mi stringe e consola per tutta la notte. Due giorni dopo c’è il funerale. Guardo la bara, ormai chiusa, con le lacrime che non smettono di scendere, sorreggo la nonna mentre Ethan ci abbraccia per farci forza. Le appoggiamo un fiore di loto sulla bara, sì proprio quel fiore, perché è il suo fiore. La mamma veglierà su di me e mi guiderà per il resto della mia vita attraverso la figura del fiore di loto, fiore indispensabile per me perché simboleggia due storie d’amore molto importanti, una finita e una appena cominciata.