23 marzo 1944 (Regensburg, sud-est Germania)
È difficile addormentarsi la sera senza pensare che potrebbe essere l’ultima notte. È difficile, date le circostanze, rimanere positiva, anzi impossibile. Anche se loro lo negano, percepisco l’angoscia e la paura che assalgono i miei genitori e mio fratello e credo lo facciano per non farmi pesare troppo la spiacevole situazione in cui ci troviamo, ma dopo tutto non sono più una bambina ho già 16 anni compiuti e mi rendo conto del contesto che stiamo vivendo.Nonostante fossi consapevole che prima o poi ci avrebbero scoperti e portati via dalla nostra “casa”, nel momento in cui bussarono alla porta sentii una stretta alla gola e capii che quel momento era arrivato.Questa mattina, come ogni giorno, appena sveglia ho ringraziato Il Signore per essere ancora qui, per essere ancora viva, per avere la mia famiglia al mio fianco. Apparentemente sembrava essere una giornata qualunque…al freddo, in mezzo alla sporcizia e al buio, chiusi in una cantina abbandonata e affamati. Nessuno di noi poteva, o non voleva crederci che quella sarebbe stata la data che avrebbe segnato le nostre vite per sempre. Era circa ora di pranzo e mio padre era appena tornato con un sacchetto con all’interno abbastanza cibo per sfamare tutti e quattro. L’angolo della cantina dove dormivo, per mezzo di una finestrella, dava sulla strada. Era il mio luogo preferito. Mi divertivo a guardare le persone che passavano per quelle vie e provavo ad immaginare quale fosse la loro storia, il loro passato, presente e, perché no, anche futuro. Credo che ognuno abbia qualcosa da raccontare, che sia un soldato, che abbia la stella sul petto o chiunque altro. Proprio mentre osservavo il mondo attraverso una fessura nella finestra qualcuno bussò alla porta. Mio padre ci fece cenno di nasconderci nel sottoscala. A quel punto sentii i gradini scricchiolare, stava salendo le scale avvicinandosi alla porta. Non appena poggiò la mano sulla maniglia sentimmo un urlo seguito dalla voce di una donna che continuava a ripetere piangendo:”Meine Kinder!”. Mio padre ci disse di non muoverci e di rimanere in assoluto silenzio. Lo facemmo. Ci fu uno sparo dopodiché il nulla più totale. Due colpi di nocche rimbombarono in tutta la stanza, qualcuno stava nuovamente bussando alla nostra porta. Mia madre strinse me e mio fratello:”vi voglio bene..”. Mio padre non aprì. Dall’altra parte della porta iniziarono a usare le maniere forti provando a buttare giù l’unica cosa che ci divideva dal nostro crudele destino. Un tonfo, ce l’hanno fatta. Le SS (l’organizzazione direttamente implicata nell’organizzare e rendere operativo ogni aspetto dell’Olocausto)sono riuscite ad entrare. Ci hanno presi, è la fine.
di Sara Mazza